Sappiamo che la civiltà produce infelicità perché le norme sociali ci richiedono spesso di agire in modo da non assecondare esattamente tutti i desideri che consentirebbero di accrescere la nostra lista di grati cazioni. D’altra parte, sono proprio i legami sociali “inibiti nella meta” a creare le comunità, almeno da un punto di vista ideale. La sublimazione dei desideri immediati, allo stesso modo, è ciò che rende possibile la creazione di opere d’arte, o la fondazione di istituzioni, o la scrittura di lavori importanti – proprio come quello di Freud. L’altro problema con la civiltà, però, è che sembra smantellare attivamente ciò che essa stessa costruisce. Essa sembra disfare ciò a cui dà vita, sembra metterci nella condizione di aggredire coloro per i quali proviamo amore; sembra quasi che la civiltà prenda di mira le sue proprie creazioni, e le loro appendici. Sembra che persegua una furtiva vocazione – ripetitiva, e inconsapevole – al lavoro in una direzione opposta rispetto ai suoi obiettivi proiettati nel futuro, e rispetto a tutte le concezioni di progresso. Nelle battute nali del Disagio nella civiltà, Freud sottolinea che la civiltà corre il rischio di subire una disfatta dalle sue proprie aggressioni, arrivando a esprimere una certa ansia relativamente alla prospettiva di uno sterminio su larga scala.
J. Butler, Sulla crudeltà