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Filosofia del cinema I

Filosofia del cinema I

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L’assoluta corrispondenza degli scritti, delle azioni descritte nel proprio diario (Tarkovskij, 2002), delle idee e convinzioni con il percorso artistico e registico fanno di Andrej Tarkovskij (1932-1986) una figura straordinaria all’interno del panorama cinematografico, e un pensatore di rilievo per chi intraprenda una ricerca teoretica sul significato sociale e politico di alcuni concetti, quali “verità”, “arte”, “sacro”: concetti che percorrono i libri del regista e si trovano magicamente “materializzati” nelle sue opere filmiche.
Per Tarkovskij il segno della contemporaneità è “la malattia mortale”, che priva l’uomo dell’anelito al trascendente (Schrader, 2000): una guarigione è possibile solo tramite una sottomissione al principio del sacro, alla tensione verso l’Altro, che porta alla creazione di una comunità degli uomini. In Sacrificio (1986), nella figura del folle Alexander e della strega Maria, il problema della malattia e della guarigione è espresso come una dinamica, una potenza, laddove regna l’incomunicabilità. Questa viene infranta dall’artista che “crea e infrange la regola”, così come la follia infrange l’ordine delle cose.

Il tema della follia è stato esplorato in Solaris (1972): anche ne L’infanzia di Ivan (1962) vi è il folle tra le macerie brucianti della guerra. In Nostalghia (1982) c’è poi un esplicito rimando alla legge Basaglia, che era entrata in vigore durante il periodo italiano di Tarkovskij. La follia come luogo della poetica di Tarkovskij emerge in tutte le sue opere e viene analizzata secondo differenti punti di vista. Il regista coglie le implicazioni che sono legate a essa: non solo l’emarginazione e l’esclusione ma pure quella dimensione magica, mito-poietica che appartiene a Sade, a Holderlin, Artaud.

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